Dove fare kitesurf sul Lago di Garda: 7…
Il kitesurf sul Lago di Garda è un mix esplosivo di vento costante, paesaggi alpini e centri specializzati. S
23 Aprile 2025
27 Settembre 2015
Intervista
Il resoconto della tappa Freestyle di Porto Botte
Il rider laziale, Campione Italiano 2013, è tornato alle competizioni in occasione della finale nazionale del Freestyle disputatasi dal 10 al 20 settembre in Sardegna dopo un lungo infortunio. Ci racconta come è stato il suo ritorno in gara e qualche aneddoto sul suo periodo di recupero.
Parlare di kitesurf con Gabriele Garofalo è come chiacchierare davanti a una birra col tuo amico di sempre. Se non fosse che questo “veterano” di 22 anni ne ha, eccome, di storie da raccontare: anche sull’ultimo anno in cui è stato lontano dalle scene per più di sei mesi, a causa di un brutto infortunio al ginocchio che gli è capitato lo scorso gennaio mentre si trovava a Città del Capo a svernare, come fa abitualmente con la crew di RRD di cui è l’atleta italiano più rappresentativo a livello internazionale.
Nel mese di settembre 2015 Gabriele è tornato alle competizioni prendendo parte al Campionato Italiano Freestyle che si è disputato a Porto Botte in condizioni di vento molto impegnative (vento oltre i 30 nodi). Gli abbiamo chiesto come ha passato il suo periodo di riabilitazione e com’è andato il suo ritorno al freestyle agonistico.
– Allora Gabriele, come è andata a Porto Botte?
«Beh, è stato bello tornare anche perché siamo partiti per la Sardegna tutti insieme, con i ragazzi con cui mi alleno sempre qui allo Stagnone: gli amici Gianmaria Coccoluto e Francesca Bagnoli, Andrea Ragazzoni e Andrea Lisi. Quando tutto il gruppo è riunito e ci incontriamo con gli altri rider ci divertiamo tanto a fare casino!».
– Racconta la tua prima gara dall’infortunio…
«Il primo giorno a Porto Botte con 20-25 nodi alla prima heat sono passato con Gianluca Cavaiola e a quella del giorno successivo sono capitato con Andrea Ragazzoni: vento fotonico e con la 7 tutta depotenziata non riuscivamo a fare nulla a parte dei Raley megagalattici e azzardare un paio di manovre. Finisce in parità e ci chiedono di rifarla. Alla fine passo io. Poi gli ottavi, sempre vento fotonico, con Giacomo Barberi. Stavolta esco. Purtroppo con le straps non sono riuscito a fare meglio… Comunque per il settimo posto, dopo l’infortunio, posso ritenermi soddisfatto».
– Però ti sei consolato con la prova del Big Air…
«Si, ho fatto secondo. Eravamo soprainvelatissimi con le 9 a 35 nodi! Mi sono divertito un sacco: saltoni, kiteloop, rotazioni, one foot giganteschi! Di quelli che se sbagli un minimo te la fai addosso! Però anche in questo caso i boots mi sarebbero tornati utili, penso che sarei andato più alto!».
– Stai girando ancora con le straps, vero?
«Si, purtroppo non posso usare ancora i boots, perché a ogni caduta il ginocchio andrebbe in trazione. Però sarebbe stato meglio averli in gara, reggi di più il ventone, anche perché io sono leggero e con i boots riesco a bilanciarmi meglio».
– Il ritorno in acqua dopo tanto tempo com’è stato?
«Ho smaniato per mesi. I primi bordi dopo l’operazione li ho fatti all’inizio di giugno a Terracina, a casa mia. Bello! Anche solo planare, con il vento in faccia, gli schizzi d’acqua… una bella sensazione. “Finalmente!”, mi sono detto. Adrenalina davvero. Poi all’inizio di luglio sono venuto allo Stagnone come ogni estate e ho iniziato a rifare le manovre più impegnative».
– Hai fatto qualche viaggio?
«Sì, a Zanzibar per qualche giorno per un’iniziativa di un villaggio turistico che mi ha avuto come testimonial per la promozione del kite: è sempre bello tornarci, ci sono stato più volte: acqua trasparente incredibile, è bellissimo fare kite lì. Anche se ci sono cose che un po’ fanno pensare, come ad esempio i ragazzi locali che ormai conosco e che non se la passano tanto bene. Pensa che ce n’è uno che è soprannominato “Coca Cola”, perché indossa una maglietta della Coca Cola da sempre e non se può permettersene un’altra. Ho pensato di regalargliene una nuova…».
– Che ricordi del giorno dell’infortunio?
«Era l’inizio di gennaio, al campionato sudafricano a Cape Town (Sudafrica), in semifinale: doppio S Bend Pass con una mano, crash. Stavo circa a 50 metri da riva ma ci sono arrivato da solo. Agli ultimi metri dalla spiaggia mi sono fermato, ho sganciato il kite che è volato sopra i palazzi che si affacciano sul mare e sono venuti a recuperarmi in acqua. Mi hanno sfilato i boots e mi hanno portato di corsa all’ambulanza».
– Che hai pensato?
«Avevo capito che mi ero fatto male. Mi ero già operato al crociato tre anni fa e dopo qualche visita specialistica in Sudafrica, più di una perché lì per lì non credevo fosse così grave, mi hanno diagnosticato che mi ero rotto crociato, collaterale e menisco. Eh, non l’ho presa tanto bene… Prima della diagnosi definitiva non pensavo a tanto, perché dopo un po’ camminavo, addirittura riuscivo a salire le scale di casa. Dopo meno di un mese sono tornato in Italia e mi hanno operato il 5 marzo».
– E i mesi dopo l’intervento?
«Fisioterapia per il primo mese, 5 ore al giorno con un macchinario che serve ad allungare i legamenti che vengono accorciati con l’operazione. E’ dolorosissimo. Contemporaneamente tutti i giorni dal terapista tutte le mattine per un paio d’ore. 6-7 ore al giorno da dedicare al ginocchio. Dopo un paio di mesi ho iniziato il potenziamento muscolare».
– Il recupero prosegue?
«Dopo l’estate allo Stagnone torno a Terracina, dove farò ancora un mese di potenziamento e poi parto ai primi di dicembre per il Brasile, dove quest’inverno mi allenerò per qualche mese insieme a Daniele Milazzo (giovane rider siciliano KSP, ndr)».
– Il bilancio di questa stagione e gli obiettivi per la prossima?
«Rientrare nell’Italiano sicuramente, ma punterò forte soprattutto sull’Europeo. Tutto sommato direi che questa stagione è andata bene. Tante soddisfazioni, anche perché il recupero procede alla grande. E poi essere di nuovo in acqua con tutti quanti gli amici, invece di stare a casa a non fare niente… E’ brutto… Io ho bisogno del mare!».
Articolo redatto da Daniele Pizzo
Intervista
Il resoconto della tappa Freestyle di Porto Botte
Il rider laziale, Campione Italiano 2013, è tornato alle competizioni in occasione della finale nazionale del Freestyle disputatasi dal 10 al 20 settembre in Sardegna dopo un lungo infortunio. Ci racconta come è stato il suo ritorno in gara e qualche aneddoto sul suo periodo di recupero.
Parlare di kitesurf con Gabriele Garofalo è come chiacchierare davanti a una birra col tuo amico di sempre. Se non fosse che questo “veterano” di 22 anni ne ha, eccome, di storie da raccontare: anche sull’ultimo anno in cui è stato lontano dalle scene per più di sei mesi, a causa di un brutto infortunio al ginocchio che gli è capitato lo scorso gennaio mentre si trovava a Città del Capo a svernare, come fa abitualmente con la crew di RRD di cui è l’atleta italiano più rappresentativo a livello internazionale.
Nel mese di settembre 2015 Gabriele è tornato alle competizioni prendendo parte al Campionato Italiano Freestyle che si è disputato a Porto Botte in condizioni di vento molto impegnative (vento oltre i 30 nodi). Gli abbiamo chiesto come ha passato il suo periodo di riabilitazione e com’è andato il suo ritorno al freestyle agonistico.
– Allora Gabriele, come è andata a Porto Botte?
«Beh, è stato bello tornare anche perché siamo partiti per la Sardegna tutti insieme, con i ragazzi con cui mi alleno sempre qui allo Stagnone: gli amici Gianmaria Coccoluto e Francesca Bagnoli, Andrea Ragazzoni e Andrea Lisi. Quando tutto il gruppo è riunito e ci incontriamo con gli altri rider ci divertiamo tanto a fare casino!».
– Racconta la tua prima gara dall’infortunio…
«Il primo giorno a Porto Botte con 20-25 nodi alla prima heat sono passato con Gianluca Cavaiola e a quella del giorno successivo sono capitato con Andrea Ragazzoni: vento fotonico e con la 7 tutta depotenziata non riuscivamo a fare nulla a parte dei Raley megagalattici e azzardare un paio di manovre. Finisce in parità e ci chiedono di rifarla. Alla fine passo io. Poi gli ottavi, sempre vento fotonico, con Giacomo Barberi. Stavolta esco. Purtroppo con le straps non sono riuscito a fare meglio… Comunque per il settimo posto, dopo l’infortunio, posso ritenermi soddisfatto».
– Però ti sei consolato con la prova del Big Air…
«Si, ho fatto secondo. Eravamo soprainvelatissimi con le 9 a 35 nodi! Mi sono divertito un sacco: saltoni, kiteloop, rotazioni, one foot giganteschi! Di quelli che se sbagli un minimo te la fai addosso! Però anche in questo caso i boots mi sarebbero tornati utili, penso che sarei andato più alto!».
– Stai girando ancora con le straps, vero?
«Si, purtroppo non posso usare ancora i boots, perché a ogni caduta il ginocchio andrebbe in trazione. Però sarebbe stato meglio averli in gara, reggi di più il ventone, anche perché io sono leggero e con i boots riesco a bilanciarmi meglio».
– Il ritorno in acqua dopo tanto tempo com’è stato?
«Ho smaniato per mesi. I primi bordi dopo l’operazione li ho fatti all’inizio di giugno a Terracina, a casa mia. Bello! Anche solo planare, con il vento in faccia, gli schizzi d’acqua… una bella sensazione. “Finalmente!”, mi sono detto. Adrenalina davvero. Poi all’inizio di luglio sono venuto allo Stagnone come ogni estate e ho iniziato a rifare le manovre più impegnative».
– Hai fatto qualche viaggio?
«Sì, a Zanzibar per qualche giorno per un’iniziativa di un villaggio turistico che mi ha avuto come testimonial per la promozione del kite: è sempre bello tornarci, ci sono stato più volte: acqua trasparente incredibile, è bellissimo fare kite lì. Anche se ci sono cose che un po’ fanno pensare, come ad esempio i ragazzi locali che ormai conosco e che non se la passano tanto bene. Pensa che ce n’è uno che è soprannominato “Coca Cola”, perché indossa una maglietta della Coca Cola da sempre e non se può permettersene un’altra. Ho pensato di regalargliene una nuova…».
– Che ricordi del giorno dell’infortunio?
«Era l’inizio di gennaio, al campionato sudafricano a Cape Town (Sudafrica), in semifinale: doppio S Bend Pass con una mano, crash. Stavo circa a 50 metri da riva ma ci sono arrivato da solo. Agli ultimi metri dalla spiaggia mi sono fermato, ho sganciato il kite che è volato sopra i palazzi che si affacciano sul mare e sono venuti a recuperarmi in acqua. Mi hanno sfilato i boots e mi hanno portato di corsa all’ambulanza».
– Che hai pensato?
«Avevo capito che mi ero fatto male. Mi ero già operato al crociato tre anni fa e dopo qualche visita specialistica in Sudafrica, più di una perché lì per lì non credevo fosse così grave, mi hanno diagnosticato che mi ero rotto crociato, collaterale e menisco. Eh, non l’ho presa tanto bene… Prima della diagnosi definitiva non pensavo a tanto, perché dopo un po’ camminavo, addirittura riuscivo a salire le scale di casa. Dopo meno di un mese sono tornato in Italia e mi hanno operato il 5 marzo».
– E i mesi dopo l’intervento?
«Fisioterapia per il primo mese, 5 ore al giorno con un macchinario che serve ad allungare i legamenti che vengono accorciati con l’operazione. E’ dolorosissimo. Contemporaneamente tutti i giorni dal terapista tutte le mattine per un paio d’ore. 6-7 ore al giorno da dedicare al ginocchio. Dopo un paio di mesi ho iniziato il potenziamento muscolare».
– Il recupero prosegue?
«Dopo l’estate allo Stagnone torno a Terracina, dove farò ancora un mese di potenziamento e poi parto ai primi di dicembre per il Brasile, dove quest’inverno mi allenerò per qualche mese insieme a Daniele Milazzo (giovane rider siciliano KSP, ndr)».
– Il bilancio di questa stagione e gli obiettivi per la prossima?
«Rientrare nell’Italiano sicuramente, ma punterò forte soprattutto sull’Europeo. Tutto sommato direi che questa stagione è andata bene. Tante soddisfazioni, anche perché il recupero procede alla grande. E poi essere di nuovo in acqua con tutti quanti gli amici, invece di stare a casa a non fare niente… E’ brutto… Io ho bisogno del mare!».
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