12 Febbraio 2015

Share:

Kitesurf quei pazzi per l’endurance

di: Redazione Kitesurfing

C’è nel mondo un gruppo ristretto di kiter che vanno oltre il semplice downwind di qualche ora che pure in molti appassionati praticano. Sono i patiti delle lunghe traversate no stop che mettono a dura prova corpo, mente e attrezzatura.

Avventure

Kitesurf: quei pazzi per l’endurance

C’è nel mondo un gruppo ristretto di kiter che vanno oltre il semplice downwind di qualche ora che pure in molti appassionati praticano. Sono i patiti delle lunghe traversate no stop che mettono a dura prova corpo, mente e attrezzatura.

Quando si pensa al kitesurf, vengono subito in mente i bordi accelerati in planata, i salti acrobatici, le evoluzioni eleganti tra le onde. E già stiamo sul piano del godimento puro e di un senso di libertà non comuni che quando li hai provati non ne hai mai abbastanza. Chi poi ha dentro il fuoco dell’agone sportivo può sempre cimentarsi con l’attrezzatura race e i triangoli tra le boe oppure, aggiungendoci stomaco forte (nel senso dei chili) e piedi ultrafermi (nel senso della strap cazzate a ferro), con le prove di velocità sul filo dei 60 nodi.

Insomma ce n’è di che divertirsi, no? Mare, lago, oceani, spot di casa o spiaggie esotiche, ti metti la lycra o il mutino, gonfi il kite e ti spari tre ore in acqua. Esci, bevi una birra ghiacciata e se il vento tiene rientri per un’altra session, magari prendi il surfino perché la marea si sta alzando. Fine, una giornata simile per la maggior parte degli appassionati è, se non il paradiso, giusto un paio di fermate prima.

Ecco, per alcuni kiter no. Parlo di coloro che nonostante l’attrezzatura da kitesurf sia la massima sintesi dello sport velico, un ala, un trapezio, una tavola, non si accontentano di stare lì, a due passi dalla costa; nemmeno gli bastano i classici downwind da uno spot all’altro. Loro vogliono andare al largo, lontano, superare l’orizzonte e macinare miglia finché gli reggono le gambe, i polmoni e i palmi della mani. In poche parole cercano l’avventura e dentro si sentono probabilmente più marinai che fanatici dell’adrenalina e in fondo hanno anche un pizzico di follia.

Sono i seguaci dell’endurance, una disciplina del kite che non è altro che la declinazione acquatica della maratona per chi corre, dell’ultraciclismo per chi va in bici o degli extreme trail per chi fa sci alpinismo. Prove di resistenza su lunghi percorsi no stop che mettono a dura prova i muscoli e soprattutto la testa e portano le attrezzature a condizioni limite. Nel kitesurf in particolare una prova di endurance vuol dire passare ore e ore nella stessa posizione, quasi sempre bagnati, avere difficoltà a bere e ad alimentarsi, orientarsi al largo, oltre che affrontare condizioni meteomarine e venti variabili che impongono scelte strategiche sui materiali da utilizzare.

Uno dei primi record di kitesurf endurance è stato nel 2006 quello messo a punto da una ragazza, la campionessa del mondo inglese Kirsty Jones. Il 13 maggio è partita da una spiaggia di Lanzarote (Canarie) e ha completato 121 miglia raggiungendo Tarfaya, in Marocco. Ha impiegato oltre 9 ore a coprire il tragitto a causa dei venti deboli per tutto il primo tratto della traversata che l’hanno sfinita, poi è stata costretta a bolinare duro per tenere la rotta e ha accusato il mal di mare a causa del mare formato. “Ho incontrato due balene, ogni tanto mi saltava un pesce volante sulla tavola ­- ha raccontato al termine dell’impresa – mi ha seguito un branco di delfini. Ero stanca ma quando ho visto le spiagge del Marocco ho provato un’emozione fortissima”. Kirsty ha usato un ala Flexifoil Iron Kite da 12 metri, una tavola custom da wave e una muta da 3 millimetri.

Da quel momento in poi, come spesso accade in campo velico, è iniziata una corsa al record che ha visto tanti kiter mettersi alla prova su percorsi sempre più lunghi in vari posti del mondo. A battere il primato della Jones è stato due anni dopo il francese Eric Gramond che il 26 ottobre ha stabilito il record della 24 ore navigando da Fortaleza a Parnaíba, in Brasile, per 226,7 miglia. Il racconto dell’impresa esprime tutta la forza di volontà di questo ragazzo che partito dalla spiaggia al tramonto con una grossa torcia da pescatori di tonno sulla testa sotto gli occhi increduli dei brasiliani ha dovuto combattere contro le bonacce, il freddo della notte, i cambi di vento, onde di 4 metri, profonde escoriazioni dovute al trapezio e una fatica fisica estrema: “Avevo dei crampi così forti alle dita delle mani che a volte dovevo incastrare la barra negli avambracci chiudendo i gomiti e governare l’ala così. A un certo punto ero così esausto che volevo abbandonare l’attrezzatura e nuotare fino alla costa”.

Nel 2013 un altro kiter francese, Bruno Sroka, è stato il primo a compiere la traversata no stop dalla Bretagna (Francia) all’Irlanda, su un percorso di 240 miglia dalla punta di Capo Finestère alla Baia di Cork che ha chiuso in 16 ore e 40 minuti di navigazione. Per far fronte alle diverse condizioni di navigazione Sroka ha deciso di tenere la stessa ala per tutto il percorso ma tavole di misure differenti e fogge differenti: una leggera da gara, uno più rubusta da wave e infine una dotata di foil per i venti più leggeri. Il suo record è stato battuto appena 21 giorni dopo da Francisco Lufinha, un portoghese di 30 anni che è riuscito a navigare per 307,5 miglia lungo le coste del Portogallo in poco più di 18 ore.

Ma Bruno Sroka, che nel 2008 ha attraversato in 9 ore lo Stretto di Drake, dalla punta estrema del Cile alla Penisola Antartica doppiando il mitico Capo Horn e poi ha nel 2012 ha battuto il primato di traversata della Manica su un percorso di 100 miglia nel 2012, non demorde nella sua corsa al record. Per il 2016 ha già annunciato che si stà preparando la più grande traversata al mondo in solitario a bordo di un kitesurf: la New York-Brest, un percorso lungo il Nord Atlantico di oltre 3.000 miglia di navigazione. Una follia, almeno sulla carta. Ma Bruno è uno di loro appunto, quei pazzi dell’endurance, e c’è da scommettere che ci riuscirà.

Guarda altre News

Full Power 2024: Il Grande Evento del Kitesurf…

L'emozione è nell'aria mentre ci prepariamo per il Full Power 2024, il prossimo grande evento del kitesurf che si terrÃ

Big Air: giovani leve sempre più giovani

Il Lords of Tram GKA Big Air Kite World Cup è pronto a iniziare con il line-up più giovane di sempre, riflesso dell'es

Tom Court: Un’Epica Avventura di Kitesurf Britannica

In questa avvincente video, immergetevi nell'entusiasmante mondo del kitesurf con Tom Court in "Hike and Kite' Back Coun

Oswald Smith: Il Nuovo Prodigio del Kitesurf con…

È ufficiale! North Kiteboarding presenta l'ultimo arrivo nella sua squadra internazionale: Oswald Smith, meglio conosci

Kitesurf quei pazzi per l’endurance

di: Redazione Kitesurfing

C’è nel mondo un gruppo ristretto di kiter che vanno oltre il semplice downwind di qualche ora che pure in molti appassionati praticano. Sono i patiti delle lunghe traversate no stop che mettono a dura prova corpo, mente e attrezzatura.

Avventure

Kitesurf: quei pazzi per l’endurance

C’è nel mondo un gruppo ristretto di kiter che vanno oltre il semplice downwind di qualche ora che pure in molti appassionati praticano. Sono i patiti delle lunghe traversate no stop che mettono a dura prova corpo, mente e attrezzatura.

Quando si pensa al kitesurf, vengono subito in mente i bordi accelerati in planata, i salti acrobatici, le evoluzioni eleganti tra le onde. E già stiamo sul piano del godimento puro e di un senso di libertà non comuni che quando li hai provati non ne hai mai abbastanza. Chi poi ha dentro il fuoco dell’agone sportivo può sempre cimentarsi con l’attrezzatura race e i triangoli tra le boe oppure, aggiungendoci stomaco forte (nel senso dei chili) e piedi ultrafermi (nel senso della strap cazzate a ferro), con le prove di velocità sul filo dei 60 nodi.

Insomma ce n’è di che divertirsi, no? Mare, lago, oceani, spot di casa o spiaggie esotiche, ti metti la lycra o il mutino, gonfi il kite e ti spari tre ore in acqua. Esci, bevi una birra ghiacciata e se il vento tiene rientri per un’altra session, magari prendi il surfino perché la marea si sta alzando. Fine, una giornata simile per la maggior parte degli appassionati è, se non il paradiso, giusto un paio di fermate prima.

Ecco, per alcuni kiter no. Parlo di coloro che nonostante l’attrezzatura da kitesurf sia la massima sintesi dello sport velico, un ala, un trapezio, una tavola, non si accontentano di stare lì, a due passi dalla costa; nemmeno gli bastano i classici downwind da uno spot all’altro. Loro vogliono andare al largo, lontano, superare l’orizzonte e macinare miglia finché gli reggono le gambe, i polmoni e i palmi della mani. In poche parole cercano l’avventura e dentro si sentono probabilmente più marinai che fanatici dell’adrenalina e in fondo hanno anche un pizzico di follia.

Sono i seguaci dell’endurance, una disciplina del kite che non è altro che la declinazione acquatica della maratona per chi corre, dell’ultraciclismo per chi va in bici o degli extreme trail per chi fa sci alpinismo. Prove di resistenza su lunghi percorsi no stop che mettono a dura prova i muscoli e soprattutto la testa e portano le attrezzature a condizioni limite. Nel kitesurf in particolare una prova di endurance vuol dire passare ore e ore nella stessa posizione, quasi sempre bagnati, avere difficoltà a bere e ad alimentarsi, orientarsi al largo, oltre che affrontare condizioni meteomarine e venti variabili che impongono scelte strategiche sui materiali da utilizzare.

Uno dei primi record di kitesurf endurance è stato nel 2006 quello messo a punto da una ragazza, la campionessa del mondo inglese Kirsty Jones. Il 13 maggio è partita da una spiaggia di Lanzarote (Canarie) e ha completato 121 miglia raggiungendo Tarfaya, in Marocco. Ha impiegato oltre 9 ore a coprire il tragitto a causa dei venti deboli per tutto il primo tratto della traversata che l’hanno sfinita, poi è stata costretta a bolinare duro per tenere la rotta e ha accusato il mal di mare a causa del mare formato. “Ho incontrato due balene, ogni tanto mi saltava un pesce volante sulla tavola ­- ha raccontato al termine dell’impresa – mi ha seguito un branco di delfini. Ero stanca ma quando ho visto le spiagge del Marocco ho provato un’emozione fortissima”. Kirsty ha usato un ala Flexifoil Iron Kite da 12 metri, una tavola custom da wave e una muta da 3 millimetri.

Da quel momento in poi, come spesso accade in campo velico, è iniziata una corsa al record che ha visto tanti kiter mettersi alla prova su percorsi sempre più lunghi in vari posti del mondo. A battere il primato della Jones è stato due anni dopo il francese Eric Gramond che il 26 ottobre ha stabilito il record della 24 ore navigando da Fortaleza a Parnaíba, in Brasile, per 226,7 miglia. Il racconto dell’impresa esprime tutta la forza di volontà di questo ragazzo che partito dalla spiaggia al tramonto con una grossa torcia da pescatori di tonno sulla testa sotto gli occhi increduli dei brasiliani ha dovuto combattere contro le bonacce, il freddo della notte, i cambi di vento, onde di 4 metri, profonde escoriazioni dovute al trapezio e una fatica fisica estrema: “Avevo dei crampi così forti alle dita delle mani che a volte dovevo incastrare la barra negli avambracci chiudendo i gomiti e governare l’ala così. A un certo punto ero così esausto che volevo abbandonare l’attrezzatura e nuotare fino alla costa”.

Nel 2013 un altro kiter francese, Bruno Sroka, è stato il primo a compiere la traversata no stop dalla Bretagna (Francia) all’Irlanda, su un percorso di 240 miglia dalla punta di Capo Finestère alla Baia di Cork che ha chiuso in 16 ore e 40 minuti di navigazione. Per far fronte alle diverse condizioni di navigazione Sroka ha deciso di tenere la stessa ala per tutto il percorso ma tavole di misure differenti e fogge differenti: una leggera da gara, uno più rubusta da wave e infine una dotata di foil per i venti più leggeri. Il suo record è stato battuto appena 21 giorni dopo da Francisco Lufinha, un portoghese di 30 anni che è riuscito a navigare per 307,5 miglia lungo le coste del Portogallo in poco più di 18 ore.

Ma Bruno Sroka, che nel 2008 ha attraversato in 9 ore lo Stretto di Drake, dalla punta estrema del Cile alla Penisola Antartica doppiando il mitico Capo Horn e poi ha nel 2012 ha battuto il primato di traversata della Manica su un percorso di 100 miglia nel 2012, non demorde nella sua corsa al record. Per il 2016 ha già annunciato che si stà preparando la più grande traversata al mondo in solitario a bordo di un kitesurf: la New York-Brest, un percorso lungo il Nord Atlantico di oltre 3.000 miglia di navigazione. Una follia, almeno sulla carta. Ma Bruno è uno di loro appunto, quei pazzi dell’endurance, e c’è da scommettere che ci riuscirà.

Altre News


Share:

Ti potrebbe interessare anche


Stai cercando un KiteCamp?



E' Successo Oggi