16 Marzo 2018

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Squali e kitesurf: 5 verità da sapere

di: Redazione Kitesurfing

Gli attacchi da parte degli squali ai kiter sono estremamente rari. Eppure ogni tanto succede. Ecco come si comportano in realtà questi predatori, quali sono i momenti di massima esposizione al pericolo per un rider, le possibili misure antisqualo, i maggiori Paesi a rischio e come funzionano i sistemi di vigilanza in spiaggia.

Sai che da qualche parte lì sotto ci sono, ma cerchi di non pensarci e continui a surfare lo stesso. I kiter, come i surfisti, fanno un patto con l’oceano: in cambio della libertà di entrarci ne rispettano le regole e ne accettano i rischi, compreso quello di avere un incontro ravvicinato con uno squalo. Certo, se non sono incoscienti cercano di prendere tutte le precauzioni del caso. Ma per il resto si affidano alla fortuna.

Di sicuro molto fortunata è stata la blogger di viaggi francese Isabelle Fabre. Il 16 gennaio scorso mentre faceva kitesurfing sulla costa meridionale del West Australia, ha notato una macchia scura in acqua che la seguiva. All’inizio ha pensato si trattasse dell’ombra proiettata sull’acqua dal suo kite. Poi si è convinta che fosse un delfino in vena di scherzi. Ad aprirle gli occhi sul pericolo che stava realmente correndo sono stati gli amici sulla barca di appoggio che hanno riconosciuto la sagoma di un grande squalo bianco e le hanno urlato di allontanarsi immediatamente. Spaventata e sotto shock, alla fine Isabelle è riuscita comunque a mettersi in salvo raggiungendo la spiaggia.

Nuova Caledonia, destinazione a rischio

Meno fortunato è stato qualche mese fa David Jewell, un kiter di 50 anni originario di Freemantle, Australia. Il 6 settembre scorso l’uomo è stato attaccato e ucciso da uno squalo tigre di 3,5 metri durante un’uscita sul reef di Koumac, sulla costa settentrionale della Nuova Caledonia. Jewell partecipava a un kitecamp di una settimana a bordo di un catamarano della società di charter Offshore Oysseys. Al momento dell’incidente stava surfando sul reef nei pressi di una laguna, ma ha perso il controllo dell’ala ed è caduto in acqua. In quel momento lo squalo lo ha morso alla coscia destra. L’equipaggio della barca, resosi conto della gravità della situazione, ha immediatamente lanciato l’allarme via radio all’autorità marittima e nel frattempo gli ha prestato i primi soccorsi. Il kiter però è andato in arresto cardiaco e dopo essere stato trasportato all’ospedale di Koumac è morto poche ore dopo.

Qualche tempo prima, il 2 giugno 2016 sempre in Nuova Caledonia, un altro kiter, Pierre de Rotalier, era stato morso da uno squalo alla caviglia, ma nonostante le lesioni era riuscito a mettersi in salvo raggiungendo la riva. Agghiacciante il suo racconto: “Stavo surfando nel tratto di oceano antistante Noumea – ha raccontato l’uomo alla Guardia Costiera – a un certo punto mentre stavo eseguendo una strambata per cambiare direzione ho visto lo squalo attaccarmi da dietro. L’assalto è stato forte, mi ha morso in parte la tavola e mi ha staccato un pezzo di caviglia, ho pensato di morire. Subito ho nuotato verso la spiaggia e mi ha raccolto una barca”.

L’ente internazionale che studia gli assalti all’uomo

Generalmente in tutto il pianeta si registrano ogni anno poche dozzine di attacchi di squalo contro gli esseri umani e solo una bassa percentuale di questi sono letali. Secondo i funzionari dell’International Shark Attack File (ISAF), l’ente che dal 1958 i studia i casi di attacchi di squalo a livello mondiale e li registra in un apposito database presso l’Università della Florida, a meno di trovarsi in tratti di costa particolarmente infestati di questi animali, generalmente il rischio di essere morsi da uno squalo è circa lo stesso di essere colpiti da un fulmine.

Da quando questo istituto internazionale ha iniziato la sua attività sono stati registrati soltanto 19 casi di attacchi di squalo ai danni di praticanti di kitesurf, la maggior parte dei quali peraltro non ha avuto un esito mortale. Una percentuale di attacchi molto inferiore a quella per esempio relativa ai surfisti o ai sub. Eppure ogni tanto anche i kiter sono vittime di questi predatori.

Uno dei casi più terrificanti, ma anche del tutto rari di attacchi di squalo ai danni di un kiter è avvenuto il 5 febbraio del 2010 in Florida (Usa). Stephen Schafer, rider esperto di 38 anni, è stato attaccato e ucciso da un branco di squali bianchi. L’autopsia eseguita dopo l’incidente sul corpo del giovane riportò una serie di ferite e segni di morsi alle cosce, ai glutei, ma anche alle braccia e alle mani, segno evidente di come Stephen avesse lottato in un estremo tentativo di difendersi.

Il caso di Nathan e i pericoli del body drag

In che misura i kiteboarder sono esposti al rischio di un attacco? Uno degli studi più approfonditi in materia è stato effettuato dopo l’incidente ai danni di un ragazzo di 15 anni, Nathan, morto il 21 maggio del 2011 dopo essere stato morso da uno squalo tigre in Nuova Caledonia, nello stesso punto in cui è morto David Jewell, ossia al largo della città di Koumac, in un tratto di costa noto come Passe de Kendec. L’adolescente stava surfando con il padre e un gruppo di altre quattro persone. I testimoni hanno raccontato che il giovane kiter ha subìto due attacchi mentre era impegnato in un body drag per recuperare la tavola persa. Le ferite maggiori erano sulla gamba sinistra, nella zona tra il ginocchio e la coscia, dove il giovane ha riportato il tranciamento dell’arteria femorale. Dall’analisi dei denti e della grandezza dei morsi (circa 30 cm) i ricercatori hanno stabilito che il ragazzo era stato attaccato da uno squalo tigre dai 2,8 ai 3,5 metri di lunghezza.

Lo studio sulla dinamica di questo incidente ha portato i ricercatori ha stabilire in che modo i kiter vengono percepiti dagli squali. Il momento di massima esposizione al rischio di un attacco è quando un kiter esegue il body drag. Questo perché essendo trainato sulla superficie dell’acqua a una certa velocità e con il corpo che in modo intermittente entra ed esce dall’acqua, il kiter diventa uno stimolo forte per gli squali che scambiano questi movimenti per quelli di una preda.

L’uomo è attaccato per errore

In realtà gli attacchi agli esseri umani sono per gli squali il frutto di un errore. A differenza dei mammiferi marini, infatti, gli squali imparano a navigare e a sopravvivere attraverso la sperimentazione. Nessun cucciolo di squalo sa in anticipo ciò che è buono da mangiare e cosa non lo è, così spesso questo processo di apprendimento durante il normale ciclo vitale comporta una serie di prove e di errori. In genere, se uno squalo è abbastanza anziano, conosce bene le proprie prede e non attacca gli esseri umani.

Secondo le statistiche dell’International Shark Attack File gli Stati Uniti e l’Australia sono tra i paesi più infestati dagli squali. Segue il Sud Africa e il Sud America, in particolare il Brasile. Le acque temperate del Mediterraneo invece sono abbastanza protette dagli squali.

Il sistema di allerta in spiaggia: occhio alle bandiere

Per la salvaguardia di surfisti e kiter, in alcuni tratti di costa noti per essere aree a rischio di squali, come per esempio Cape Town o le isole Hawaii, vengono organizzati appositi servizi di monitoraggio in spiaggia. A occuparsi di tale vigilanza sono uomini e donne chiamati “shark spotter” che presidiano alcune postazioni collocate in zone strategiche, rialzate rispetto al livello del mare, che permettono di scansionare le acque in cerca di qualsiasi segnale della presenza di squali, soprattutto i grandi squali bianchi (pinne, sagome scure, movimenti dell’acqua, scie, etc.). Se viene riscontrato uno di questi segni, avvisano prontamente gli addetti alla sorveglianza delle spiagge, l’autorità marittima e la Guardia Costiera.

Ogni kiter dovrebbe conoscere questi sistemi di allerta tramite apposite bandiere colorate e rispettare i vari avvisi di pericolo: verde (acque sicure, non ci sono squali in zona), nero (visibilità scarsa, non c’è possibilità di avvistamento), rosso (squali avvistati recentemente nell’area, entrate in acqua a vostro rischio) e bianco (squali presenti nell’area, non entrate in acqua).

Gadget antisqualo: dai braccialetti magnetici alle mute mimetiche

La fobia degli squali alimentata da libri e film volti ad esaltare a fini intrattenitivi il carattere micidiale di questi predatori negli ultimi anni ha spinto il mercato a sviluppare una serie di gadget e dispositivi antisqualo per surfisti: repellenti magnetici, dispositivi elettrici, apparecchi acustici, agenti chimici fino a speciali mute che presentano livree a strisce e colori mimetici. L’efficacia di questi prodotti in realtà è ancora tutta da dimostrare, magari a livello mentale può essere rassicurante portarli con sé, ma non garantisce al 100 per cento dalla possibilità di attacchi.

In definitiva chi, come i kiter, si avventura in acque dove sono presenti squali, dovrebbe essere consapevole dei pericoli a cui si espone. Gli squali non sono da biasimare, l’oceano è il loro habitat e la responsabilità è tutta di chi invade il loro territorio. Nel frattempo ogni anno l’uomo uccide milioni di squali per esigenze industrali e alimentari. Forse dei due, quindi, il predatore più pericoloso è quello senza la pinna.

TESTO DI DAVID INGIOSI 

FB: https://www.facebook.com/DavidIngiosi

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Sai che da qualche parte lì sotto ci sono, ma cerchi di non pensarci e continui a surfare lo stesso. I kiter, come i surfisti, fanno un patto con l’oceano: in cambio della libertà di entrarci ne rispettano le regole e ne accettano i rischi, compreso quello di avere un incontro ravvicinato con uno squalo. Certo, se non sono incoscienti cercano di prendere tutte le precauzioni del caso. Ma per il resto si affidano alla fortuna.

Di sicuro molto fortunata è stata la blogger di viaggi francese Isabelle Fabre. Il 16 gennaio scorso mentre faceva kitesurfing sulla costa meridionale del West Australia, ha notato una macchia scura in acqua che la seguiva. All’inizio ha pensato si trattasse dell’ombra proiettata sull’acqua dal suo kite. Poi si è convinta che fosse un delfino in vena di scherzi. Ad aprirle gli occhi sul pericolo che stava realmente correndo sono stati gli amici sulla barca di appoggio che hanno riconosciuto la sagoma di un grande squalo bianco e le hanno urlato di allontanarsi immediatamente. Spaventata e sotto shock, alla fine Isabelle è riuscita comunque a mettersi in salvo raggiungendo la spiaggia.

Nuova Caledonia, destinazione a rischio

Meno fortunato è stato qualche mese fa David Jewell, un kiter di 50 anni originario di Freemantle, Australia. Il 6 settembre scorso l’uomo è stato attaccato e ucciso da uno squalo tigre di 3,5 metri durante un’uscita sul reef di Koumac, sulla costa settentrionale della Nuova Caledonia. Jewell partecipava a un kitecamp di una settimana a bordo di un catamarano della società di charter Offshore Oysseys. Al momento dell’incidente stava surfando sul reef nei pressi di una laguna, ma ha perso il controllo dell’ala ed è caduto in acqua. In quel momento lo squalo lo ha morso alla coscia destra. L’equipaggio della barca, resosi conto della gravità della situazione, ha immediatamente lanciato l’allarme via radio all’autorità marittima e nel frattempo gli ha prestato i primi soccorsi. Il kiter però è andato in arresto cardiaco e dopo essere stato trasportato all’ospedale di Koumac è morto poche ore dopo.

Qualche tempo prima, il 2 giugno 2016 sempre in Nuova Caledonia, un altro kiter, Pierre de Rotalier, era stato morso da uno squalo alla caviglia, ma nonostante le lesioni era riuscito a mettersi in salvo raggiungendo la riva. Agghiacciante il suo racconto: “Stavo surfando nel tratto di oceano antistante Noumea – ha raccontato l’uomo alla Guardia Costiera – a un certo punto mentre stavo eseguendo una strambata per cambiare direzione ho visto lo squalo attaccarmi da dietro. L’assalto è stato forte, mi ha morso in parte la tavola e mi ha staccato un pezzo di caviglia, ho pensato di morire. Subito ho nuotato verso la spiaggia e mi ha raccolto una barca”.

L’ente internazionale che studia gli assalti all’uomo

Generalmente in tutto il pianeta si registrano ogni anno poche dozzine di attacchi di squalo contro gli esseri umani e solo una bassa percentuale di questi sono letali. Secondo i funzionari dell’International Shark Attack File (ISAF), l’ente che dal 1958 i studia i casi di attacchi di squalo a livello mondiale e li registra in un apposito database presso l’Università della Florida, a meno di trovarsi in tratti di costa particolarmente infestati di questi animali, generalmente il rischio di essere morsi da uno squalo è circa lo stesso di essere colpiti da un fulmine.

Da quando questo istituto internazionale ha iniziato la sua attività sono stati registrati soltanto 19 casi di attacchi di squalo ai danni di praticanti di kitesurf, la maggior parte dei quali peraltro non ha avuto un esito mortale. Una percentuale di attacchi molto inferiore a quella per esempio relativa ai surfisti o ai sub. Eppure ogni tanto anche i kiter sono vittime di questi predatori.

Uno dei casi più terrificanti, ma anche del tutto rari di attacchi di squalo ai danni di un kiter è avvenuto il 5 febbraio del 2010 in Florida (Usa). Stephen Schafer, rider esperto di 38 anni, è stato attaccato e ucciso da un branco di squali bianchi. L’autopsia eseguita dopo l’incidente sul corpo del giovane riportò una serie di ferite e segni di morsi alle cosce, ai glutei, ma anche alle braccia e alle mani, segno evidente di come Stephen avesse lottato in un estremo tentativo di difendersi.

Il caso di Nathan e i pericoli del body drag

In che misura i kiteboarder sono esposti al rischio di un attacco? Uno degli studi più approfonditi in materia è stato effettuato dopo l’incidente ai danni di un ragazzo di 15 anni, Nathan, morto il 21 maggio del 2011 dopo essere stato morso da uno squalo tigre in Nuova Caledonia, nello stesso punto in cui è morto David Jewell, ossia al largo della città di Koumac, in un tratto di costa noto come Passe de Kendec. L’adolescente stava surfando con il padre e un gruppo di altre quattro persone. I testimoni hanno raccontato che il giovane kiter ha subìto due attacchi mentre era impegnato in un body drag per recuperare la tavola persa. Le ferite maggiori erano sulla gamba sinistra, nella zona tra il ginocchio e la coscia, dove il giovane ha riportato il tranciamento dell’arteria femorale. Dall’analisi dei denti e della grandezza dei morsi (circa 30 cm) i ricercatori hanno stabilito che il ragazzo era stato attaccato da uno squalo tigre dai 2,8 ai 3,5 metri di lunghezza.

Lo studio sulla dinamica di questo incidente ha portato i ricercatori ha stabilire in che modo i kiter vengono percepiti dagli squali. Il momento di massima esposizione al rischio di un attacco è quando un kiter esegue il body drag. Questo perché essendo trainato sulla superficie dell’acqua a una certa velocità e con il corpo che in modo intermittente entra ed esce dall’acqua, il kiter diventa uno stimolo forte per gli squali che scambiano questi movimenti per quelli di una preda.

L’uomo è attaccato per errore

In realtà gli attacchi agli esseri umani sono per gli squali il frutto di un errore. A differenza dei mammiferi marini, infatti, gli squali imparano a navigare e a sopravvivere attraverso la sperimentazione. Nessun cucciolo di squalo sa in anticipo ciò che è buono da mangiare e cosa non lo è, così spesso questo processo di apprendimento durante il normale ciclo vitale comporta una serie di prove e di errori. In genere, se uno squalo è abbastanza anziano, conosce bene le proprie prede e non attacca gli esseri umani.

Secondo le statistiche dell’International Shark Attack File gli Stati Uniti e l’Australia sono tra i paesi più infestati dagli squali. Segue il Sud Africa e il Sud America, in particolare il Brasile. Le acque temperate del Mediterraneo invece sono abbastanza protette dagli squali.

Il sistema di allerta in spiaggia: occhio alle bandiere

Per la salvaguardia di surfisti e kiter, in alcuni tratti di costa noti per essere aree a rischio di squali, come per esempio Cape Town o le isole Hawaii, vengono organizzati appositi servizi di monitoraggio in spiaggia. A occuparsi di tale vigilanza sono uomini e donne chiamati “shark spotter” che presidiano alcune postazioni collocate in zone strategiche, rialzate rispetto al livello del mare, che permettono di scansionare le acque in cerca di qualsiasi segnale della presenza di squali, soprattutto i grandi squali bianchi (pinne, sagome scure, movimenti dell’acqua, scie, etc.). Se viene riscontrato uno di questi segni, avvisano prontamente gli addetti alla sorveglianza delle spiagge, l’autorità marittima e la Guardia Costiera.

Ogni kiter dovrebbe conoscere questi sistemi di allerta tramite apposite bandiere colorate e rispettare i vari avvisi di pericolo: verde (acque sicure, non ci sono squali in zona), nero (visibilità scarsa, non c’è possibilità di avvistamento), rosso (squali avvistati recentemente nell’area, entrate in acqua a vostro rischio) e bianco (squali presenti nell’area, non entrate in acqua).

Gadget antisqualo: dai braccialetti magnetici alle mute mimetiche

La fobia degli squali alimentata da libri e film volti ad esaltare a fini intrattenitivi il carattere micidiale di questi predatori negli ultimi anni ha spinto il mercato a sviluppare una serie di gadget e dispositivi antisqualo per surfisti: repellenti magnetici, dispositivi elettrici, apparecchi acustici, agenti chimici fino a speciali mute che presentano livree a strisce e colori mimetici. L’efficacia di questi prodotti in realtà è ancora tutta da dimostrare, magari a livello mentale può essere rassicurante portarli con sé, ma non garantisce al 100 per cento dalla possibilità di attacchi.

In definitiva chi, come i kiter, si avventura in acque dove sono presenti squali, dovrebbe essere consapevole dei pericoli a cui si espone. Gli squali non sono da biasimare, l’oceano è il loro habitat e la responsabilità è tutta di chi invade il loro territorio. Nel frattempo ogni anno l’uomo uccide milioni di squali per esigenze industrali e alimentari. Forse dei due, quindi, il predatore più pericoloso è quello senza la pinna.

TESTO DI DAVID INGIOSI 

FB: https://www.facebook.com/DavidIngiosi

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